Parlare di endometriosi?
Sì, ma nel modo corretto!
L’endometriosi, per molti anni, è stata considerata una malattia attinente l’apparato riproduttivo femminile e, per questo, è stata trattata come una patologia tabù, di cui si conosceva poco o niente e si parlava il meno possibile.
Oggi di endometriosi se ne parla decisamente di più, grazie anche a chi ha deciso di esporsi attraverso le proprie testimonianze.
Sui social sono sempre più persone affette dalla malattia, influencer e volti noti, che scelgono di parlare di endometriosi per creare una maggiore consapevolezza.
Ma quante delle informazioni che circolano sull’endometriosi possono ritenersi corrette?
Intorno a questa patologia purtroppo c’è molta ignoranza e disinformazione, complice il fatto che, nonostante sia molto diffusa, spesso sono gli stessi medici a non disporre dei mezzi e delle informazioni necessarie per condurre i pazienti ad una diagnosi e ad un trattamento adeguati.
Di seguito, tutto ciò che non vorremmo più sentire sull’endometriosi!
L’endometriosi è l’endometrio
fuori dall’utero? NO!
L’endometriosi, secondo gli studi più recenti, è una patologia cronica caratterizzata dalla presenza in sedi anomale di un tessuto SIMILE a quello dell’endometrio, tessuto che riveste la parete interna dell’utero.
Il tessuto endometriosico, sotto l’influsso degli ormoni (estrogeni, testosterone e progesterone), prolifera e causa noduli, cicatrizzazioni, aderenze e una conseguente risposta infiammatoria.
È quindi sbagliato dire che l’endometriosi consiste nella dislocazione e nella crescita di tessuto endometriale fuori dalla cavità uterina seguendo le fasi del ciclo mestruale perché, pur essendo simile a quello endometriosico, si differenziano istologicamente e per meccanismo di azione.
L’endometriosi è una malattia ginecologica
che colpisce tutte le donne in età fertile? NO!
Quando si parla di endometriosi spesso si pensa ad una malattia di esclusiva pertinenza ginecologica. In realtà si tratta di una patologia infiammatoria progressiva che non riguarda il solo apparato riproduttivo.
L’endometriosi, che viene classificata in pelvica ed extra-pelvica in base alla sua localizzazione, può interessare tube, ovaie, peritoneo, legamenti larghi dell’utero, legamenti uterosacrali, cervice uterina, vagina, vescica, intestino, colon, retto, ureteri, reni e, meno frequentemente, fegato, polmoni, diaframma, pleure e pericardio.
Inoltre è una patologia che, sebbene con maggiore frequenza trovi la sua diagnosi nelle persone assegnate femmine alla nascita in età riproduttiva, può essere riscontrata prima della comparsa della prima mestruazione, post intervento chirurgico di isterectomia o durante la menopausa.
È stata, inoltre, riscontrata la presenza di tessuto endometriosico in feti umani e, in rari casi, in persone di sesso maschile.
Non solo per tali ragioni, in virtù degli studi e delle scoperte più recenti, non è del tutto corretto considerare l’endometriosi come una patologia esclusivamente femminile, ma se pensiamo alle persone transgender o di genere non binario affette dalla patologia, utilizzare un linguaggio inclusivo è il primo passo verso l’abbattimento dei pregiudizi e l’equità dell’accesso alla salute.
Si calcola che, in Italia, le persone affette da endometriosi in forme più o meno gravi siano oltre 3 milioni, nella stima di 1su10, anche se di recente si parla più di 1su9.
L’endometriosi è un mal di pancia
da ciclo? NO!
Premesso che soffrire nel periodo mestruale non è normale, di fronte ad un dolore che non trova sollievo con un analgesico e che impedisce il normale svolgimento delle attività quotidiane è sempre il caso di indagare. L’endometriosi non è un semplice mal di pancia!
La sintomatologia dolorosa è legata alla cicatrizzazione e all’infiammazione che consegue il proliferare del tessuto endometriosico in sedi pelviche e/o extrapelviche. Noduli e lesioni reattive di endometriosi possono dare origine ad aderenze tra strutture vicine ed organi con conseguente sofferenza e malfunzionamento degli stessi.
Tra i sintomi più comuni dell’endometriosi, oltre il dolore mestruale invalidante (dismenorrea), troviamo: dolore pelvico cronico, dolore rettale, dolore lombare, problemi intestinali, problemi urologici (come dolore o difficoltà durante la minzione), dischezia (dolore e/o difficoltà durante la defecazione), dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), difficoltà nel concepimento, stanchezza cronica.
Alla luce della varietà delle localizzazioni e dei sintomi che esulano dal dolore pelvico, ricordiamo l’importanza del coinvolgimento di un’equipe multidisciplinare nella presa in carico del paziente sia in fase diagnostica, sia in fase operativa.
Esiste una cura risolutiva per l’endometriosi? NO!
L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica per la quale, ad oggi, non si conosce una cura definitiva, complice il fatto che è una patologia dalle cause e dal meccanismo d’azione ancora oggetto di studi e ricerche.
Il trattamento può essere farmacologico, tramite antidolorifici e/o terapie ormonali, o chirurgico. Tali approcci non costituiscono una cura definitiva.
Così come non costituiscono una cura, nell’ottica di un trattamento multidisciplinare, l’alimentazione (ricordiamo che non esiste una dieta specifica per l’endometriosi ma ogni piano alimentare deve essere studiato sul singolo caso), l’osteopatia, la riabilitazione, l’attività fisica o la terapia psicologica.
Quindi alla domanda: si può guarire dall’endometriosi? Noi rispondiamo: NO! Si può cercare di agire sulla sintomatologia per migliorare la qualità di vita della persona e monitorarne l’evoluzione in modo da poter prevenire danni maggiori o recidive importanti.
Una buona risposta alle terapie, è bene sottolineare anche questo aspetto, può portare a periodi di “remissione” della malattia e ad un netto miglioramento della qualità della vita della persona. Ogni caso, lo ricordiamo sempre, è a sé ed importante è non fare della singola esperienza con la patologia, fonte generalizzata di informazione.
Il dolore causato dall’endometriosi
è legato alla sua estensione? NO!
L’endometriosi è una patologia che può essere estremamente invalidante. La gravità dei sintomi non è necessariamente correlata all’estensione della malattia: una persona con endometriosi estesa ed infiltrante può essere completamente asintomatica e può aver ricevuto una diagnosi in maniera casuale durante un esame o una visita specialistica di controllo, mentre una persona con localizzazioni di endometriosi di piccole dimensioni può provare dolore severo.
Da marzo 2017 l’endometriosi rientra a pieno titolo, negli stadi clinici più avanzati a seguito di valutazione chirurgica (III stadio “moderato” e IV stadio “grave” secondo la classificazione dell’ASRM – American Society for Reproductive Medicine), nell’elenco delle prestazioni sanitarie garantite, tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Con l’ingresso nella lista delle patologie croniche e invalidanti, si riconosce ai pazienti il diritto di usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche.
Sebbene l’inserimento dell’endometriosi nei LEA rappresenta sicuramente un primo grande passo, la strada da percorrere è ancora molto lunga.
Mancano tutele economiche rispetto alle terapie, così come risulta necessaria un’integrazione delle prestazioni specialistiche diagnostiche.
È importante inoltre una tutela e un’assistenza adeguata anche per gli stadi minori della patologia, riconoscendo i limiti dei sistemi di classificazione attuali, in quanto, come detto, non esiste una correlazione tra sintomatologia ed estensione della malattia poichè si possono avere sintomi invalidanti anche negli stadi ritenuti iniziali.
Endometriosi = Infertilità? NO!
La diagnosi di endometriosi non comporta sempre infertilità e sterilità.
La patologia, soprattutto negli stadi avanzati, a causa delle alterazioni anatomiche relative al posizionamento e all’estensione delle lesioni endometriosiche e alla qualità ovocitaria, può interferire sul concepimento, sull’impianto embrionale e sul proseguimento della gravidanza, ma non rappresenta un ostacolo invalicabile al desiderio di maternità.
Chi soffre di endometriosi e decide di avere un figlio, non è detto che abbia difficoltà a concepire. Ciò nonostante, è sempre opportuno, una volta ricevuta la diagnosi, rivolgersi ad un centro specialistico per il trattamento della patologia e/o per l’infertilità, dove un team di esperti possa gestire ogni singolo caso clinico attraverso precisi protocolli che tengano conto di diversi fattori tra cui l’età, la riserva ovarica e la manifestazione della malattia.
Fondamentale resta sempre la diagnosi precoce: prima si individua la malattia, meno sono i danni che la stessa può generare.
Rimanere incinta con l’endometriosi, dunque, è possibile, complice anche una sempre maggiore consapevolezza sulla malattia.
Concludiamo dicendo che la gravidanza, a differenza di quanto purtroppo molto spesso si sente dire, non rappresenta una cura per l’endometriosi. Sebbene in alcuni casi la gravidanza può attenuare i sintomi della malattia, questi si possono ripresentare nel corso dei mesi successivi al parto, e con essi, l’avanzamento della malattia.
In caso di sospetta endometriosi
o di fronte ad una chiara diagnosi
è sempre necessario ricorrere alla chirurgia? NO!
Il 2 febbraio 2022 sono state pubblicate dalla Società europea per la riproduzione umana e l’embriologia (ESHRE) le nuove linee guida sull’endometriosi che hanno introdotto cambiamenti significativi, rispetto le ultime pubblicazioni del 2014, nella diagnosi, nei trattamenti e nella gestione della malattia.
Tra le raccomandazioni fornite nel nuovo documento, di rilevanza sono quelle inerenti al trattamento chirurgico.
La tecnica chirurgica più utilizzata per il trattamento dell’endometriosi è quella laparoscopica, denominata anche chirurgia mininvasiva che garantisce tempi di recupero più veloci.
Tra le convinzioni sull’endometriosi c’è quella che per la diagnosi e/o il trattamento della malattia la chirurgia sia sempre necessaria. Niente di più errato!
Le nuove linee guida sottolineano come la laparoscopia diagnostica non rappresenti più la procedura standard di valutazione in caso di sospetta endometriosi, grazie all’accuratezza degli strumenti che consentono, in mani esperte, di individuare e mappare anche localizzazioni profonde di endometriosi.
La chirurgia è raccomandata solo dopo attenta valutazione e nei pazienti nei quali la terapia farmacologica risulta inefficace.
Queste sono solo alcune delle errate convinzioni che circolano sull’endometriosi, frutto di poca conoscenza e cattiva informazione. Spesso tali falsi miti implicano un ritardo nella diagnosi e nel trattamento la cui tempestività sappiamo essere fondamentale in una patologia progressiva come l’endometriosi.
La disinformazione e un’errata comunicazione inoltre tendono ad incrementare il senso di smarrimento e il conseguente malessere psicologico della persona affetta dalla patologia, che già deve fare i conti con una diagnosi di malattia cronica.
Un ruolo fondamentale nel percorso della consapevolezza deve essere ricoperto dagli specialisti che prendono in cura il paziente. Oltre ad individuare i trattamenti più indicati da seguire, hanno il dovere di informare l’assistito rispetto allo stato di salute e a quello che la malattia e le terapie comportano, esprimendosi in termini idonei attraverso parole semplici e comprensibili.
Quando il rapporto medico-paziente funziona e la comunicazione tra i due risulta efficace, migliore è sicuramente l’approccio e la convivenza con la malattia.
Altre figure fondamentali sono le associazioni che hanno il compito di promuovere una corretta informazione rispetto alla patologia, favorire la prevenzione ed accompagnare i pazienti nella convivenza con la malattia, offrendo un supporto anche alle rispettive famiglie che, inevitabilmente, ne subiscono gli effetti.
È importante quindi selezionare le informazioni sulla base dell’attendibilità delle fonti e scegliere consapevolmente di affidarsi a professionisti in grado di fornire tutte le risposte e le delucidazioni di cui avete bisogno.